Intervista a Jack Sapienza: La vaporwave e il sampling

[Mario Grandinetti Dionesi]

La vaporwave è un genere di musica elettronica e visual art nata su internet intorno al 2010. Caratterizzata dal sampling (campionamento) di vecchie hit, spot pubblicitari, musica da ascensore e qualsiasi altra cosa vi possa far venire nostalgia di un’epoca mai vissuta, la vaporwave nasce come critica distopica al capitalismo, approcciandosi alla pop culture degli anni ‘80 e ‘90 in maniera ironica, distorcendo suoni in maniera esasperata e creando un’atmosfera surreale che punta ad inquietare l’ascoltatore e ad incuriosirlo allo stesso tempo, volendogli suggerire anche grazie al suono di interferenze accompagnate da video volutamente sgranati per simulare la qualità delle vecchie cassette vhs e con frasi malinconiche, che qualcosa sta andando storto. Tuttavia molti apprezzano la vaporwave anche solo per il suo affascinante immaginario, che ha fortemente influenzato la grafica di molte pagine sul web e non solo, basti solo pensare a serie tv di grande successo come Stranger Things. Per saperne di più ho contattato Giacomo Sapienza, produttore musicale torinese classe ’89 e co-fondatore della casa di produzione RKH Studio, che sotto il nome d’arte di Jack Sapienza ha prodotto innumerevoli progetti, tra cui S A D W A V E e S A D W A V E #2, due raccolte di strumentali dall’influenza fortemente vaporwave.

Intervista a Jack Sapienza

Vogliamo prima fare un’introduzione di chi sia Jack Sapienza?

-Penso che forse la cosa più coerente da dire in questo momento della mia vita sia produttore musicale, poi ci sono altri momenti in cui preferisco fare il regista, il videomaker, ma in questo momento produttore musicale.

-Come hai scoperto la vaporwave e come ti sei addentrato in queste produzioni?

-Mi ricordo che un po’ prima di iniziare a fare quel tipo di cose, potrebbero essere 4-5 mesi prima, giravo su YouTube in totale ca**eggio e mi sono imbattuto in uno di questi video, c’erano I Simpson, era la primissima Simpsonwave. Mi ricordo questo dettaglio, i brani erano uploadati da qualche mese, quindi in Italia veramente se ne vedevano pochi, e mi ricordo che mi avevano talmente catturato, che quella sera sono andato a cena da mia madre, perché dovevo andare a cena da mia madre [ride], e ho rotto le pa**e a tutti per far vedere questa roba che mi aveva veramente folgorato. Ho detto “guarda, hanno preso I Simpson e hanno tagliato tutte le scene felici per dare l’impressione che fosse un cartone triste, con questa musica sopra tutta pitchata”. Tornato in studio mi sono messo a pensare di provare a farlo. Stavo lavorando con un artista in quel periodo, faccio questa strumentale per lui e ascoltandola ho detto “Ca**o, questa roba sembra proprio quella roba un po’ vaporwave che sentivo”, che era comunque molto diversa, però non so perché ma mi dava quell’impressione. Allora ho detto a quel ragazzo “Guarda, scusami, ti faccio un’altra strumentale, ma questa la devo usare per un’altra cosa”, e da lì ho cominciato il progetto.

-Parlaci del sampling nella musica e nelle tue produzioni

Blue Virus: la tragedia e il Sublime in Moebius-Il sampling come concetto stretto a livello musicale è qualcosa che lega molto i produttori più vecchi di me, quelli della generazione cresciuta musicalmente nell’hip hop anni ’90, perché era un genere che utilizzava questi break beat, li tagliava, poi prendeva un sample da qualche altra parte, lo manipolava e creava queste 8 battute in loop che poi duravano un po’ per tutto il pezzo. Io non sono cresciuto musicalmente in quella visione delle cose, sono cresciuto più in un altro genere tra l’altro, quindi era tutto più improntato sulla musicalità e sugli strumenti fisici, ho sempre studiato e suonato pianoforte e chitarra; non partivo mai dal sample per definire una produzione, piuttosto partivo da una produzione per adattare dei sample, e ho iniziato a farlo in modo quasi maniacale ad un certo punto, perché mi sono reso conto fin dalle primissime produzioni che facevo, che avevano una pretesa a livello discografico più ampia. Uno dei primissimi beat riusciti in cui applicavo questo tipo di campionamento è Palude 2 di Blue Virus, in cui avevo preso questo brano dei Bloc Party e l’avevo utilizzato in varie sequenze per riuscire a creare un contesto musicale, che poi era completamente diverso e riadattato. Questo mi ha dato modo di sfidarmi, la sfida diventava riuscire a campionare qualsiasi suono e trasformarlo in un potenziale pezzo di brano. Questo vale un po’ per ogni cosa, ho cominciato a campionare di tutto, quando sento un suono in un film che mi interessa, mi metto lì, lo registro e lo utilizzo in un brano. Quindi diciamo che il campionamento è diventato parte integrante della mia vita anche un po’ come filosofia, perché poi il campionamento diventa un’esigenza, accumuli talmente tanti sample che poi non ti bastano i brani che fai per utilizzarli, la cosa bella del sample è che puoi riutilizzarlo, non è monouso. La differenza con il sample anni ’90 è che oggi diventa spesso una spezia, un abbellimento, quasi una cornice di quello che hai fatto. Va da sé che quando cambi contesto melodico, se fai un brano completamente diverso con un altro bpm e un’altra tonalità, il sample può diventare una roba totalmente diversa, un altro vestito. Più sample hai più riesci ad adattarli a più contesti melodici.

-Quali sono le fonti da cui campioni più spesso?

-Non c’è un contenitore preciso, campiono moltissimo brani, ma mi capita di campionare di tutto. Ho fatto synth prendendoli dalla nota delle porte delle metrapolitane che si chiudono, l’ho fatto sia a Berlino che a Parigi. Qualsiasi cosa, il punto è proprio non fossilizzarsi, tutto può diventare musica alla fine della fiera, anche il silenzio più assoluto.

La vaporwave nasce su internet, credi che questo abbia impattato e impatterà sui giovani produttori e sulle loro strumentali?

-In buona parte credo di sì, penso che tutto quel genere un po’ più lo-fi, che strizza l’occhio ai 90s, è sicuramente un sottoprodotto o comunque una derivazione di quel mondo. Non so dirti se è un genere che sarà in grado di imporsi in modo massiccio come può essere stata la trap negli ultimi dieci anni. Penso che rimarrà più una parentesi musicale da cui inconsciamente le persone attingeranno sempre di più per quanto riguarda le sonorità, però senza mai farlo sfociare in una corrente vera e propria. Secondo me non c’è ancora a livello pop il genere che sostituirà la trap, sicuramente ci sarà già qualcuno nel mondo che l’ha creato, ma non è ancora così importante per prendere il sopravvento. Magari invece verrò smentito e tra tre anni tutti faranno raggaeton, cosa che sinceramente è una possibilità, perché il sound latino è sempre più utilizzato e suonato, influenza sempre di più le classifiche di tutto il mondo, e a quel punto, andrà bene così.

-Quanto credi che questo tuo periodo di produzioni vaporwave, alla scoperta del sampling, abbia influenzato i tuoi lavori recenti?

-Io tendenzialmente non volevo sentirmi un artista vaporwave, perché mi rendevo conto che era veramente la parentesi del momento. Ricordo che sotto i video mi scrivevano “Eh ma questa non è vera vaporwave”, perché in realtà non volevo fare quello, era più una questione estetica ed emotiva. Secondo me la musica era diversa ma ti offriva la stessa esperienza di sconforto, di tristezza sospesa, quindi non voleva essere propriamente vaporwave, tant’è che si chiamava sadwave; quindi credo che in realtà abbia molto influenzato le cose che faccio adesso, perché è molto più simile di quanto non sembri, perché alla fine non facevo vaporwave, questo è il punto.

-Hai detto di essere molto legato all’estetica vaporwave, c’è qualche elemento estetico che hai volutamente portato da qualche altra parte, come per esempio in uno dei tuoi cortometraggi?

-È una bella domanda, ma credo di no. Credo che il punto sia questo: La sensazione nella quale la vaporwave ti immerge è una sensazione in cui mi sono sempre sentito molto a casa. Non so se ti è mai capitato di vedere quei film o ascoltato quella musica che ti danno quella sensazione molto casalinga, una roba in cui ti trovi bene, un tipo di sonorità che magari non ti farebbe correre in un club a scuotere la testa insieme alle persone che hai di fianco, né ti farebbe andare in palestra a tirare su 100 chili di panca piana, però ti accoglie e ti riscalda. Questa è una sensazione che io cercavo e questa è la sensazione che anche inconsciamente cerco sempre di trasmettere a me stesso prima di tutto con la mia musica. Perché a me stesso? Perché quando qualcosa mi conforta e mi fa stare bene, allora è qualcosa che per me vale e mi comunica qualcosa, e se non comunica qualcosa a me, è molto difficile possa comunicare qualcosa a qualcuno.

-Quanti samples in una canzone o in album si possono usare, prima che comincino ad essere troppi e ad annullare la tua identità nel progetto finale?

-Non è una domanda facile a cui rispondere però è una bella domanda. Non penso ci sia un numero, credo di non dirti una bugia se ti dico che sono arrivato ad utilizzare per una produzione anche 30 samples presi da più brani, o comunque da atmosfere diverse, senza contare ovviamente i samples di batteria che sono sempre esterni in qualche modo. Una volta parlavo con un mio artista che fa anche il produttore e mi diceva “Io già se metto due sample diventa un collage di cose a caso che insieme non si amalgamano”. Credo che facendolo però per tanti anni e lavorandoci molto trovi sempre il modo di utilizzare la giusta porzione di sample nel giusto modo senza mai eccedere, dipende dal tuo gusto e dalla tua capacità.

Vuoi parlare invece del progetto “Sampling World”?

-Sampling World è un progetto veramente eterogeneo, è qualcosa che ho iniziato a fare con Andrea Dipa perché sentivamo l’esigenza di crescere in qualche modo. In un modo o nell’altro volevamo crescere artisticamente, consapevoli che probabilmente stando nella nostra piazza, nel nostro studio a Torino, avremmo sempre ricercato la possibilità di crescere verticalmente, cioè conoscere qualcuno per farci accedere ad un livello superiore, e questo non necessariamente, anzi, quasi mai è sinonimo di reale crescita. Credo che l’unica crescita vera, che ti salva dall’iniquità, dalla pochezza e dalla bassezza culturale, sia la crescita personale, a livello musicale e a livello artistico in generale, la richiesta di qualcosa di più pretenzioso. Per fare questo sentivamo l’esigenza di crescere orizzontalmente, spostarci fisicamente in altri paesi buttandoci in situazioni di grande insicurezza, anche a livello emotivo, anche perché poi ti trovi dall’altra parte del mondo a dover condurre un’intervista con una persona che ha vinto un Grammy per un remix a Madonna, in inglese, lingua che io conosco abbastanza bene, ma che non è comunque la mia. Oltretutto a me piace molto parlare, quindi è una difficoltà pensare di avere delle domande che vorresti esprimere in un determinato modo e non conoscere le parole giuste con cui farle nel migliore dei modi. Ci siamo buttati in questa situazione per conoscere artisti, conoscere musica a cui non avremmo mai avuto accesso se non sotto il consiglio di qualcuno di loro locale, e fare strumentali dai suoni della città, quindi sperimentare facendo musica con dei suoni il più possibile non musicali. Questo sicuramente ci ha dato una bellissima spinta dal punto di vista personale, e soltanto personale, perché non abbiamo ottenuto ad oggi dei risultati consistenti che ti facciano dire “ok siamo cresciuti anche a livello verticale”, siamo solo più consapevoli. Ci siamo esposti e siamo cresciuti anche intimamente, è chiaro che buttarsi in situazioni di grande difficoltà, di grande pressione, intervistare persone, fare strumentali e sperare che quel lavoro piaccia anche ai soli pochi che lo vedranno è qualcosa. Noi volevamo e vogliamo fare tutt’ora fare un documentario musicale, quindi il punto non è fare un disco nel tuo paese ascoltato solo da persone che capiscono e fruiscono di quella musica, ma proprio esportare il nostro prodotto anche fisicamente, spostarci e creare qualcosa. In questo momento siamo impegnati in un progetto di sampling, “Sampling Italy”, e stiamo girando per tutta Italia per creare qualcosa di interessante. Vedremo come si evolve la cosa, come sempre con zero illusioni, soltanto divertimento.

-Siamo arrivati alla fine dell’intervista, grazie per la disponibilità, un saluto a te e a tutto il team della RKH

-Ti salutiamo, ciao!