Lo sfruttamento minorile ieri e oggi

[Maria De Grazia]

A volte ci sembra di essere lontani anni luce da alcune piaghe della società, considerate superate e appartenenti a epoche della storia lontane dalla nostra. A dir la verità, problemi come lo sfruttamento minorile, sono ancora prepotentemente presenti nella nostra società globalizzata, seppur in quantità minore, ma sempre con le stesse crudeli modalità.

Lo sfruttamento minorile, ad esempio, spezza e continuerà a spezzare l’evoluzione sociale e culturale della nostra specie. L’Italia e l’Europa sono state colpite maggiormente in passato, oggi invece, a pagarne il prezzo più caro sono i paesi in via di sviluppo, quelli economicamente meno avanzati.

Tutti i bambini sono ufficialmente tutelati contro lo sfruttamento economico dall’Art.32 della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia. Tuttavia, secondo alcune indagini, sono circa 250 milioni i bambini che, al di sotto dei quattordici anni, sono costretti a lavorare.

Lo sfruttamento minorile si sviluppa maggiormente in quelle realtà in cui la popolazione è costretta ad affrontare da sola il peso della propria povertà, senza alcun tipo di aiuto statale o di solidarietà sociale. Le famiglie sono quindi costrette a impiegare tutti i propri componenti, anche i più piccoli, per garantirsi la sopravvivenza, che diventa la loro unica parola d’ordine.                                                                                        Con il passare degli anni, sono molteplici le forme di lavoro minorile sviluppatesi, a discapito di tutte quelle leggi, sistematicamente disattese, che dovrebbero tutelare lo sviluppo fisico, sociale e psicologico di ogni bambino.

A fianco delle vere e proprie forme di schiavitù a cui sono sottoposti i bambini nel settore domestico, troviamo lo sfruttamento in fabbrica e nel settore agricolo: tipici anche delle epoche a noi precedenti.    Non meno grave è la prostituzione minorile, cui sono costrette le bambine e le ragazze di ogni età, spesso vendute direttamente dalle loro famiglie per il riscatto dei propri debiti. Inoltre, sono sempre di più i bambini condannati a diventare dei soldati, ai quali viene portata via l’innocenza dell’infanzia per imbracciare le armi da fuoco; quando invece, le uniche armi che un bambino dovrebbe poter avere a sua disposizione sono le penne e i libri: strumenti con cui costruirsi un futuro libero da ogni tipo di schiavitù e sfruttamento.

Nel corso della storia dell’uomo, la letteratura ha avuto un ruolo tutt’altro che marginale nella denuncia dello sfruttamento infantile. Sono innumerevoli, infatti, le inchieste, i romanzi, le novelle che, nate da penne sapienti, nel tempo, si sono fatte carico della responsabilità di raccontare e di palesare la crudeltà e la tristezza di questa realtà, purtroppo ancora così attuale.                                           Sicuramente, uno dei primi romanzi sociali, in cui si analizzano i mali dell’Inghilterra Vittoriana, è ‘Oliver Twist’ di Charles Dickens. Il protagonista è un bambino fuggito dall’orfanotrofio, che vive di piccoli furti per strada, vittima di un padrone che prende possesso delle doti fisiche e intellettive dei bambini abbandonati a loro stessi. In particolare, in questo romanzo Dickens analizza e sviscera il dramma delle workhouses, letteralmente case di lavoro, gestite da parrocchie, che nacquero in Inghilterra con l’intento di abbattere la povertà che, secondo i ricchi, aveva origine solo nella pigrizia delle classi meno abbienti. In cambio di vitto e alloggio, le famiglie poverissime che entravano nelle workhouses, compresi i bambini, erano costrette a lavorare duramente e in pessime condizioni igienico-sanitarie.                                                                       Nonostante il lieto fine con cui si concluderà la travagliata storia di Oliver, l’obiettivo primario di Dickens era quello di denunciare senza pietà una società di disuguaglianze, di criminalità negli slums (bassifondi) e di sfruttamento a discapito dei bambini indifesi.                                                                                                        

Anche in Italia, Giovanni Verga, suggestionato dall’ “Inchiesta in Sicilia” di Franchetti e Sonnino, si appassionò particolarmente alla ‘questione meridionale’, che vide il tema dello sfruttamento minorile in primo piano.                                                                                                                                                                        Innanzitutto, ricordiamo il lavoro certosino dei due deputati della destra storica Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino che nel 1876, attraverso la raccolta di numerose testimonianze, documentarono le condizioni economiche e sociali della Sicilia dopo l’Unità d’Italia. Essi raccontarono il dramma dei carusi, costretti a lavorare nelle numerose cave di zolfo presenti nelle provincie di Enna, Caltanissetta e Agrigento. All’origine del loro sfruttamento vi era l’espediente del ‘soccorso morto’: un’irrisoria somma di denaro data in prestito alle famiglie più povere che, per estinguere il debito, erano costrette ad impiegare per tutta la vita i loro figli nelle cave. Tutti i bambini e i ragazzi erano sottoposti a una giornata lavorativa interminabile e fisicamente sfiancante, al termine della quale portavano a casa soltanto poche lire.

Analoga alla storia di centinaia di ragazzi siciliani a fine Ottocento, è quella di ‘Rosso Malpelo’, novella di Giovanni Verga contenuta all’interno della raccolta ‘Vita dei campi ’. Il protagonista è un ragazzo maltrattato ed escluso dalla società solo per il colore dei suoi capelli: infatti, secondo una diceria popolare, il rosso è simbolo di malignità. Verga racconta una società malata in cui risulta assente ogni tipo di solidarietà di classe; una società in cui ogni ambito della vita personale è subordinato all’ interesse economico. A fare da cornice alle terribili vicende del ragazzo è la cava di rena rossa in cui è costretto a lavorare. L’autore denuncia lo sfruttamento minorile a cui è sottoposto Malpelo, e l’incuria sul posto di lavoro: incuria che causerà la morte del padre di Rosso.

Questi riferimenti letterari sono solo alcuni degli innumerevoli esempi di denuncia nei confronti dello sfruttamento minorile. Tra gli altri, ricordiamo alcune novelle di Pirandello, ‘La malora’ di Beppe Fenoglio, il romanzo di José Saramago, premio Nobel per la letteratura del 1998, ‘Una terra chiamata Alentejo’.

Lascio la conclusione di questo articolo ad alcune parole del poeta siciliano Ignazio Buttitta che, in una sua poesia, intitolata “A li matri di li carusi”, disse:

“Matri chi mannati li figghi
a la surfara iu vi dumannu
pirchì a li vostri figghi
ci faciti l’occhi si nun ponnu vidiri lu jornu?”