Realtà italiana (e Calabrese) al tempo della pandemia globale

[Benedetta Cardamone]

Come è spesso accaduto nella Storia, anche questa pandemia cambierà tutti i nostri modelli di vita. È irrealistico, infatti, pensare che il 4 maggio torneremo a vivere come qualche mese fa. Quindi con il virus dovremo farci i conti per un bel po’. Penso che nessuno possa dirsi pronto a sostenere questa sfida da solo. Non si può affrontare in maniera isolata la sfida di un’epidemia causata da un virus nuovo, per il quale mancano anticorpi e cure mediche efficaci.

La condizione attuale costituisce però anche una nuova possibilità, poiché stare sempre in casa, con viveri che non scarseggiano, e ogni servizio a nostra disposizione, consente di ripensare al valore delle cose. Perché la nostra sicurezza non può provenire da una dispensa ben fornita o dal frigorifero stracolmo. La vita è più della materialità necessaria alla sopravvivenza. Il periodo che stiamo vivendo quindi rappresenta anche un’opportunità per riflettere su quello che realmente conta. Ma oltre a questo, a causa della pandemia, forse recupereremo anche i concetti di solidarietà e il prenderci cura degli altri.

In questo momento noi giovani generazioni potremmo trovare esperienze utili nella generazione dei nostri nonni. Chi ha vissuto la guerra ha conosciuto la lunga convivenza con scarsità di ogni mezzo di sostentamento e ha dovuto affinare strategie di sopravvivenza fisica e morale.

L’Europa è stata più volta devastata da epidemie, soprattutto di Peste, e le amministrazioni dei piccoli stati italiani furono fra le prime a capire che le crisi epidemiche potevano essere affrontate con rigorose misure di contenimento.

È nel Rinascimento infatti che nacque il concetto stesso di quarantena, basato sul pensiero già nell’antichità che i sintomi di qualsiasi malattia si sviluppano entro quaranta giorni dal suo inizio. Per la riduzione del contagio di peste nacquero i lazzaretti, dal nome dell’isola in cui i malati erano separati dal resto della popolazione. Nacquero i Magistrati per la sanità, con il compito di assumere le decisioni necessarie per il contenimento della malattia. Anche gli ospedali nacquero allora in Italia, a partire da strutture di accoglienza per viandanti e pellegrini, che poi si estesero alla somministrazione di cure a chi non poteva permettersi i servizi privati di un medico.

È interessante cercare di comprendere quali sono le cifre dei vari contagi, delle varie epidemie della storia. A volte le cifre ci sorprendendo, perché sono cifre molto alte rispetto a quelle attuali. Quindi ci sono stati momenti anche più drammatici di questo. Ciò potrebbe aiutarci anche a capire gli errori che sono stati fatti e quindi a prevenirli oggi.

Tuttavia questa è la prima pandemia al tempo dei social, quando il mondo è un unico Paese, nel quale quel che accade in Italia lo sanno immediatamente ovunque, ma non solo le informazioni, bensì anche le emozioni legate ad esse. Inoltre la gente viaggia molto, quindi i numerosi viaggi hanno diffuso il virus. Gli aerei che portano da un capo all’altro del mondo in non più di dodici ore e così un’infezione contratta in un luogo del pianeta arriva all’altro capo del mondo in mezza giornata.

Oltre ai telegiornali anche numerosi programmi TV ormai da giorni hanno come argomento principale il Covid-19, ma ho trovato particolarmente interessante la puntata di Report messa in onda proprio ieri sera, dove abbiamo potuto ripercorrere come e quando il Coronavirus è arrivato in Italia. Dal primo caso di contagio, il paziente 1 di Codogno, alla diffusione in tutta la Regione Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, fino all’attuale situazione nelle regioni del Sud: dalla Campania alla Calabria fino in Sicilia e come si sta affrontando il crescere dei casi nelle ultime settimane.  

Si leggono in questi giorni alcuni lamenti a proposito della scuola, del digitale e delle lezioni a distanza; siamo in un periodo davvero complicatissimo, come lo ha definito il premier Conte “il peggiore dopo la crisi del secondo dopoguerra”, a me piace studiare e mi rendo conto che adesso l’unico modo per farlo è proprio la didattica a distanza, ovviamente questa non può sostituirsi alle relazioni personali che si creano in aula, in cui studenti e docenti comunicano non solo con le parole, con i libri, con i video, con gli strumenti tecnologici, ma soprattutto con gli sguardi e con l’incontro fisico. Potrebbe però essere un momento propizio per approfondire ulteriormente l’uso e la conoscenza delle tecnologie informatiche e della loro applicazione in ambito didattico, come certamente già avviene da tempo, ma in altri ambiti della vita scolastica, finora non previsti in quanto le nostre vite non erano così profondamente modificate da una situazione emergenziale.

Concludo con lo slogan “andrà tutto bene” che mi convince, nel senso che mi piace usarlo perché credo importante mandare messaggi positivi. In questo momento servono messaggi di speranza. E sono anche convinta che ne usciremo!