Silvia Romano: volontaria e prigioniera

[Benedetta Cardamone]

Silvia Romano è ora di nuovo a casa, dopo essere stata rapita il 20 novembre 2018 in Kenya dove lavorava come cooperante per l’Africa Milele Onlus, associazione marchigiana che ha come obiettivo garantire l’infanzia in diversi Paesi africani.

Silvia, milanese di 25 anni si è laureata pochi mesi prima del sequestro in una scuola per mediatori linguistici, con una tesi sulla tratta di esseri umani. La giovane era alla sua seconda missione in Africa, era già stata nella contea di Kilifi, zona che in passato era stata teatro di attacchi contro stranieri.

La ragazza aveva lanciato una raccolta fondi per ampliare la struttura e accogliere un maggior numero di bambini che vivono attualmente in una discarica, in condizioni ovviamente estremamente pericolose per la loro salute. La sua idea, certamente ancora valida, è che i bambini possano avere assistenza sanitaria e la possibilità di essere inseriti in programmi scolastici secondo le proprie capacità, anche grazie ad un progetto di adozioni a distanza.

Stando ai racconti di Silvia quello più duro è stato sicuramente il primo mese, avendo dovuto viaggiare a lungo per arrivare nei villaggi somali. Nei primi giorni di prigionia si ammala, ma viene comunque trattata molto bene.

“Non mi hanno mai picchiato, non hanno mai esercitato violenza fisica, sessuale o psicologica. Anzi mi rassicuravano sul fatto che prima o poi sarei stata liberata”.

Ma quando capisce che sarebbe rimasta per molto tempo in uno specifico nascondiglio sotto sorveglianza, chiede un taccuino, che diventerà una sorta di diario per annotare gli spostamenti e il trascorrere dei giorni, che però è rimasto nelle mani dei rapitori. E poi un Corano, grazie al quale capisce di volersi convertire, più o meno a metà prigionia.

“La cerimonia di conversione è durata pochi minuti, in cui ho espresso la mia volontà di diventare musulmana. Ho recitato le formule per manifestare la mia convinzione che non c’è Dio all’infuori di Allah. E così mi sento ancora adesso. Io ci credo veramente” racconta Silvia.

Al suo arrivo a Ciampino, si è fatta fotografare, sorridente, con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, abbracciando poi i suoi genitori e sua sorella.

Tantissimi sono stati i messaggi di benvenuto e di felicità sui social, ma la liberazione della giovane volontaria ha scatenato anche gli haters. In molti l’hanno insultata offendendola con frasi sessiste a causa della sua conversione all’Islam, atterrata in Italia indossando gli abiti tradizionali delle donne musulmane somale, ma soprattutto per lamentarsi di quanto il governo abbia dovuto spendere per il pagamento del riscatto. A fronte di questo la procura di Milano ha deciso di aprire un’inchiesta contro ignoti per minacce aggravate nei confronti della giovane. 

Ma la vita di una ragazza che si prodiga e mette tutta sé stessa per aiutare altre persone vale molto di più di qualsiasi cifra che il governo abbia speso.

Concludo con le parole dell’Unicef: “Silvia rappresenta la parte migliore del nostro paese, spesso invisibile: un’Italia che dedica la propria vita agli altri, che resiste. Bentornata Silvia!”.