Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima

[Sara Cimino]

Tal fosti: or qui sotterra

Polve e scheletro sei. Su l’ossa e il fango

Immobilmente collocato invano,

Muto, mirando dell’etadi il volo,

Sta, di memoria solo

E di dolor custode, il simulacro

Della scorsa beltà. Quel dolce sguardo,

Che tremar fe, se, come or sembra, immoto

In altrui s’affisò; quel labbro, ond’alto

Par, come d’urna piena,

Traboccare il piacer; quel collo, cinto

Già di desio; quell’amorosa mano,

Che spesso, ove fu porta,

Sentì gelida far la man che strinse;

E il seno, onde la gente

Visibilmente di pallor si tinse,

Furo alcun tempo: or fango

Ed ossa sei: la vista

Vituperosa e trista un sasso asconde.

Così riduce il fato

Qual sembianza fra noi parve più viva

Immagine del ciel. Misterio eterno

Dell’esser nostro. Oggi d’eccelsi, immensi

Pensieri e sensi inenarrabil fonte,

Beltà grandeggia, e pare,

Quale splendor vibrato

Da natura immortal su queste arene,

Di sovrumani fati,

Di fortunati regni e d’aurei mondi

Segno e sicura spene

Dare al mortale stato:

Diman, per lieve forza,

Sozzo a vedere, abominoso, abbietto

Divien quel che fu dianzi

Quasi angelico aspetto,

E dalle menti insieme

Quel che da lui moveva

Ammirabil concetto, si dilegua.

Desiderii infiniti

E visioni altere

Crea nel vago pensiere,

Per natural virtù, dotto concento;

Onde per mar delizioso, arcano

Erra lo spirto umano,

Quasi come a diporto

Ardito notator per l’Oceano:

Ma se un discorde accento

Fere l’orecchio, in nulla

Torna quel paradiso in un momento.

Natura umana, or come,

Se frale in tutto e vile,

Se polve ed ombra sei, tant’alto senti?

Se in parte anco gentile,

Come i più degni tuoi moti e pensieri

Son così di leggeri

Da sì basse cagioni e desti e spenti?

Giacomo Leopardi


Ricollegandosi alla tradizione sepolcrale del Nord Europa, la poesia si presenta come un canto di rimpianto e di malinconia della bellezza e della giovinezza, che vengono cancellate dalla morte.

Nella prima strofa si lascia spazio al momento lirico della descrizione della bella donna. Essa appare molto generica: potrebbe accostarsi a qualsiasi donna. E’ come se Leopardi non volesse rivolgersi alla donna sepolta nello specifico ma voglia estendere la poesia da riflessione specifica a un concetto più puro e astratto. La bellezza è già smentita in questa strofa con brevi rimandi, posizionati all’inizio e alla fine della descrizione lirica, come per dare un primo avvertimento e poi ribadire il tutto, distogliendo l’attenzione dall’immagine presentata fin ora e restituendo la realtà cruda. Nella seconda strofa viene ampliato il tema della caducità e di come il fato riduca quella che per noi mortali sembra una bellezza ultraterrena che darebbe speranza alla sorte mortale. Alla morte tutto perde significato e anche l’illusione diventa grottesca, tanto che la mente si disillude sull’eternità della bellezza. Tutto appare come le foglie che descrive di Mimnermo (poeta greco autore della poesia “Come le foglie”), che cadono in fretta e nell’apice della bellezza sembrano non poter mai sparire, tanto sono forti. Nella terza strofa vi è invece un vagheggiamento. La mente, messa di fronte alla realtà, prova la necessità di perdersi nell’infinito e di rimembrare quello che aveva visto, quando un’immagine discorde all’armonia distrugge il momento e si realizza l’impossibilità di tornare al passato. Nell’ultima strofa è contenuta la riflessione sul momento lirico e ci si chiede come il corpo, se fragile, possa sentire sentimenti tanto forti e come pensieri così nobili possono essere messi a tacere da una causa così misera.

 Il tema principale di questa poesia è sicuramente la caducità della bellezza e di tutte le illusioni umane che si infrangono per ragioni tanto più basse di loro. Nel testo domina un momento lirico che va a descrivere l’illusione della bellezza e del ricordo: la poesia pare quasi riprodurre la reazione della mente umana davanti alla bellezza fino a poi infrangersi nella quarta strofa. Segue poi il dileguarsi della mente e l’impossibilità di comprendere pienamente il mistero eterno. L’ultima strofa è particolarmente interessante e si conclude con una serie di domande che non possono avere risposta, riferendosi ad altro rispetto all’uomo. Il poeta indaga sulla interiorità ed esteriorità della natura umana e si chiede come sia possibile che, creata da materiale “vile”, possa provare qualcosa di tanto più elevato. Se è capace però di provare pensieri tanto nobili, essi sono tanto fragili da spegnersi per ragioni ben più basse? Sono domande a cui non è possibile avere risposta ed è Leopardi stesso a fermarsi e a bloccare la riflessione. Da questo possiamo dedurre come il poeta sia fortemente disilluso e come il tema quasi elegiaco rifletta la caducità del mondo e la stessa natura umana di cui non siamo a conoscenza: il poeta, come tutti noi d’altronde, non riesce a spiegarsela. Quello che sembrerebbe darci speranza e potrebbe rincuorarci invece ci stronca per la realtà orrida. Il corpo della donna in questa poesia si distingue per la dolcezza e soprattutto per la capacità di donare piacere e amore a chiunque solo contempli il suo sguardo, le sue labbra e la sua mano. Questa descrizione appartiene a qualsiasi donna, ha la funzione di creare un’immagine vaga che tutti possono accostare al proprio ideale di bella donna. Leopardi parla quindi del concetto astratto di bellezza che deve essere capace di farsi amare. La descrizione serve a creare un contrasto tra un aspetto idealizzato e la realtà dura che porta l’uomo a rassegnarsi e a disilludersi completamente. Il tema della bellezza si collega alla morte e a come essa possa eliminare ogni speranza, fino a cancellare la felicità. Alla fine, siamo inermi di fronte alla morte ma altrettanto lo siamo di fronte agli interrogativi della vita e all’immensità della natura.